Arti & Culture

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Lessico del futuro

Il politically correct imperante, questo ossessivo riflettore sui nuovi modi della comunicazione sociale, questa attenzione a ciò che si può dire e a cosa no, perché qualcuno potrebbe risentirsi, che invade come una piovra non solo la vita quotidiana delle persone, ma anche tutti i settori della creatività e dell’arte, della politica e delle istituzioni, distruggerà l’autenticità dei nostri rapporti e potrà portare ad una omologazione oppressiva della comunicazione sociale?

Si è fatto un gran parlare poche settimane fa della piccola, ma grave questione Roald Dahl, famosissimo, prolifico e fantasioso scrittore inglese, nel campo della letteratura per l’infanzia, autore fra gli altri de “La Fabbrica di Cioccolato”.

Il suo editore britannico e la Roald Dahl Story Company, la società che detiene i diritti d’autore sulle sue opere (che dal 2021 in realtà appartiene a Netflix), hanno introdotto una certa quantità di piccole modifiche nelle più recenti edizioni dei suoi libri, perché essi pare contenessero espressioni offensive per alcuni tipi di persone. La censura, poiché di una forma di essa si tratta, è stata ampiamente criticata da giornalisti, intellettuali, artisti di tutta Europa e commentata in modo sfavorevole su tutti i social networks.

Tuttavia ciò non ha impedito la sforbiciata. (Non si può non fare un accostamento a “1984” di Orwell, dove il Grande Fratello riscrive i libri di storia ogni anno).

La direzione è quella, sempre più imperante, del “politically correct” che la Treccani definisce così: “L’espressione angloamericana politically correct (in italiano politicamente corretto) designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone. Secondo tale orientamento, le opinioni che si esprimono devono apparire esenti, nella forma linguistica e nella sostanza, da pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche della persona”.

Detta così la definizione potrebbe sembrare persino grandemente positiva.

Che bello! Non si può offendere nessuno a questo mondo ed è importante stare attenti a come si parla per non urtare la sensibilità degli esseri umani, qualsiasi essi siano. Dobbiamo essere tutti buoni e rispettosi, cercando di limitare al massimo la nostra aggressività e i nostri pregiudizi: buoni e felici. Buoni e felici. Buoni e felici?

Non è difficile accorgersi di tutto questo movimento ideologico, che sta permeando tutte le società occidentali; alla popolazione è richiesto un aumento di “sensibilità” verso i più deboli e nel condurre i rapporti sociali.

L’Agenda Onu 2030 ne è un esempio e anche il mondo dell’arte non ne è esente e rimane influenzato nelle scelte delle tematiche da trattare e nei percorsi creativi. Letteratura, cinema, teatro, televisione, arti visive, tutti seguono l’onda, che come abbiamo già affermato in articoli precedenti, è un flusso finanziato, sul quale sono presenti ingenti investimenti economici, da parte di Istituzioni pubbliche e private.

Persino il Festival di Sanremo, in mezzo a tutto il suo circo mediatico, si fa portavoce di messaggi e testimonianze altisonanti, di grande valore morale ed etico, che emergono dai lustrini e dalle paillettes degli eccentrici protagonisti.

Ma cosa sta succedendo? Da dove nasce questa spinta alla bontà, al rispetto, all’integrazione delle differenze e, potremmo dire, per contro, alla negazione dei nostri istinti primordiali e alla rimozione forzata delle nostre pulsioni?

Insigni studiosi di linguistica del novecento, hanno dimostrato che un modello linguistico è un modello ideologico, perciò vi è da chiedersi se questo modello, sempre più imperante, viene imposto da qualcuno o se è una spontanea tendenza dell’umanità in questo preciso momento storico. C’è un alone di grande superficialità in tutto questo, di appiattimento dei valori profondi delle relazioni umane, di perdita di autenticità e di lavaggio del cervello. Imporre un modello  linguistico, quindi ideologico, significa agire sulle menti in larga scala, sminuendo i rapporti fra i popoli e gli scambi reciproci. Il sospetto di rischio di manipolazione culturale, di limitazione della libertà d'espressione è assolutamente legittimo.

Senza negare la giustezza di certi valori, come frenare questo flusso di pensiero annichilente? E’ importante, ora più che mai, sviluppare una grande forza d’animo ed un io saldo, approfondire la conoscenza di sé stessi attraverso la meditazione o la preghiera, studiare le culture antiche e moderne, decidere di diventare i paladini del diritto di libera parola. Esprimere questo diritto in tutte le manifestazioni dell’arte e dell’espressione pubblica. In Fahrenheit 451 di Ray Bradbury il potere bruciava i libri e coloro che volevano resistere a questa deriva imparavano interi libri a memoria. Certo è solo un romanzo, ma può essere d’esempio a chi voglia esprimere una forma di resistenza a questa allarmante tendenza. Quale lingua e soprattutto quale lessico vogliamo parlare nel nostro futuro?

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