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Afferma l'ideologo del transumanesimo Yuval Noah Harari: “Nel XXI secolo coltiviamo, con strumenti sempre più potenti, l’ambizione antica di elevarci al rango di divinità, di trasformare “Homo sapiens” in “Homo Deus”. E allora cosa accadrà quando robotica, intelligenza artificiale e ingegneria genetica saranno messe al servizio della ricerca dell’immortalità e della felicità eterna?”.
Il tema dell’intelligenza artificiale è tornato in primo piano in tempi recenti in seguito alla messa in rete, a fine 2022, di ChatGPT, un potente simulatore di conversazioni, cosicché molti dei timori che avevano seguito l’avvento della IA ai suoi inizi, sono tornati in auge.
Per capire meglio l’origine delle attuali paure, si possono provare a considerare almeno due degli scenari possibili che potrebbero derivarne.
Una delle questioni più intensamente discusse e che solleva le maggiori preoccupazioni ha a che fare con l’idea che sistemi di IA, sufficientemente potenti, possano manifestare tratti di coscienza autonoma e prendere il sopravvento sull’umanità stessa.
Il ragionamento che sorregge questo timore è che ci sia continuità tra ciò che chiamiamo intelligenza in un organismo artificiale e ciò che chiamiamo allo stesso modo in un essere vivente.
Fondandosi su questo assunto e considerando che la potenza di calcolo dei sistemi computazionali è aumentata esponenzialmente nel tempo e continua ad essere incrementata, sembrerebbe logica conseguenza che ad un certo punto l’IA possa raggiungere quella umana e superarla.
Questa prospettiva si è riaffacciata prepotentemente alla luce delle performance straordinarie di ChatGPT, che dà risposte che rendono difficile capire se si stia interagendo con un robot o con un essere umano e tali caratteristiche hanno sostanziato l’idea che l’IA, a forza di sviluppare la propria potenza di calcolo, possa addirittura raggiungere un’autocoscienza e una volontà autonoma.
Tale panorama sembra essere però fortemente improbabile, in quanto è vero che tutte le capacità dell’IA nascono da un processo di mimesi delle facoltà umane e di progressiva correzione delle sue espressioni, in modo da renderle sempre più simili a quelle umane, ma che questo significhi un effettivo assimilarsi delle facoltà è tutt’altra questione. Infatti, la mancanza di radicamento nella vita organica porta a escludere che l’IA possa essere animata da qualcosa di simile a ciò che chiamiamo coscienza, volontà o intenzione.
Ma le stesse considerazioni finora portate, ci mettono in guardia circa la possibilità che pericoli possano sorgere proprio in perfetta assenza di coscienza, autocoscienza e intelligenza in senso umano.
È un dato di fatto che, grazie all’accesso a database immensi, a capacità computazionali straordinarie e alle facoltà di autocorrezione, molti sistemi di IA siano in grado di fornire, in vari campi, esiti comparabili con quelli umani. Di conseguenza, la tentazione di utilizzare l’IA per risolvere problemi e fornire servizi è naturale e crescente.
E qui l’IA può far fare un decisivo salto di qualità verso una tendenza pericolosa, che pervade da sempre l’ingresso della tecnologia nel mondo umano.
Infatti, finché il soggetto umano rimane nella posizione di poter dominare il mezzo tecnologico, il mezzo rimane uno strumento e non mina la capacità umana di intendere e di decidere, quando invece alcuni sistemi tecnologici cominciano a presentare una complessità tale da non essere propriamente dominabili, il rischio di disumanizzazione o della creazione di danni permanenti alla sfera umana diviene rilevante.
Pensiamo all’odierna politica finanziaria, in cui il sistema di transazioni non è pienamente controllabile, ma ugualmente autorevole.
L’IA può diventare uno strumento indispensabile, inaggirabile, come lo è diventata l’economia finanziaria e può farlo in qualsiasi campo. Grazie alla sua potenza, può infatti diventare un supporto indispensabile per ogni settore, anche in ambiti finora considerati intoccabili: l’esercito, la finanza, la giustizia, la medicina, i servizi sanitari, i servizi sociali…l’arte.
Anche qui la tentazione di affidare processi decisionali a sistemi di algoritmi “intelligenti”, è difficile da sottovalutare, soprattutto in società che mirano costantemente alla minimizzazione della spesa pubblica.
Nel momento in cui si permettesse un uso massivo dell’IA, l’esito sarebbe un esautoramento del giudizio umano da parte dell’intelligenza artificiale stessa, situazione che esporrebbe a errori che sarebbero difficili da correggere, in quanto, di fronte a una forma efficiente di intelligenza artificiale, si tenderebbe ad abdicare all'intelligenza propria, che è legata alla facoltà di comprensione di insieme e di giudizio complessivo, e non solo alla memoria e alla capacità di calcolo.
Un’umanità che perdesse la capacità di formulare valutazione sintetiche perderebbe anche la fiducia nella propria capacità di giudicare i verdetti dell’intelligenza artificiale, che finirebbe per diventare una fonte autoritaria ultima. Infatti il venir meno dei feedback, fondati sul senso comune, lascerebbe campo libero a qualunque giudizio dell’intelligenza artificiale stessa.
Un altro aspetto da non sottovalutare è costituito dal fatto che, come a suo tempo la rivoluzione industriale fu pagata a caro prezzo dalle classi disagiate, oggi milioni di persone sono a rischio di perdere il loro lavoro; anche nel settore terziario, sino ad oggi immune dal progresso della automazione.
Infatti la robotica e l’intelligenza artificiale generativa presto renderanno possibile una generazione di macchine tanto intelligenti da poter sostituire non solo la manodopera pesante, ma anche i colletti bianchi.
Sebbene non sia l’unico fattore, la tecnologia ha favorito l’aumento delle diseguaglianze e quello che avverrà nei prossimi decenni preoccupa numerosi economisti, politici e ricercatori e dovrebbe preoccupare ognuno di noi e sollecitare la ricerca di soluzioni nell’intera società.
Inoltre la telemedicina aiuterà l’attività del medico o ne soppianterà il 90%, con gli effetti che possiamo immaginare sulla salute pubblica?
La teledidattica aiuterà a svolgere a casa le attività individuali, dopo l’attività in presenza, o la sostituirà, e con essa i docenti in carne e ossa?
Il progresso tecnico-scientifico non è di per sé nemico dell’uomo.
Esso è neutro, come quasi tutte le cose, ma pericoloso può essere il suo utilizzo, soprattutto quando finisce con il rendere l’uomo schiavo, assicurandogli di liberarlo da mali, che sono connaturati alla sua stessa essenza e natura.
Infatti la stessa promessa di vincere la morte tramite l’utilizzo di tecnologie sempre più avanzate, ipoteticamente in grado di sostituire organi invecchiati, come si cambia il pezzo di una macchina, non indica una prospettiva di salvezza, piuttosto rischia di impedirgli di metabolizzare, sul piano metafisico, il mistero della morte, della malattia, della stessa sofferenza , che da sempre ha ispirato le riflessioni di filosofi e teologi.
Ma il desiderio e il tentativo di sovvertire le leggi della natura e di “porsi sullo stesso piano di Dio”, nell’illusione di un’evoluzione indipendente dalle leggi biologiche, lo troviamo già nella tragedia e nella letteratura greca e un esempio largamente conosciuto lo possiamo rintracciare nel mito di Prometeo che, anche se mosso da fini positivi e al servizio dell’umanità, si rende colpevole dell’unico peccato che le divinità non possono perdonare: l’hybris.
Il culto che impregna le attuali visioni prometeiche lo possiamo attualmente ritrovare nel transumanesimo e nel post-umanesimo. Entrambe le correnti condividono il fatto che la tecnologia è un tratto del corredo umano, ma il loro approccio è strutturalmente diverso.
I transumanisti si concentrano sul miglioramento e il potenziamento dell’essere umano dal punto di vista estetico, anatomico, cognitivo, genetico, nel tentativo di superare i limiti e i vincoli biologici dell’uomo, sottraendolo al suo destino, che implica inesorabilmente e ontologicamente la malattia, l’invecchiamento e la morte.
Il post-umanesimo mette in discussione il concetto tradizionalmente inteso di essere umano, ridefinendolo in senso plastico, dinamico, persino ibridativo, liberandolo dalle leggi biologiche, che lo rendono una creatura incompleta e limitata ed elevandolo a unico creatore del proprio futuro.
Queste due istanze vedono l’uomo stesso come un oggetto tecnico, e implicano la mercificazione della condizione umana.
L’intelligenza artificiale è un neutro acceleratore e amplificatore di realtà, sta a noi decidere quale realtà vogliamo accelerare e amplificare. Sta a noi decidere tra l’utopia e la distopia.
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