Invito alla Lettura

Invito alla Lettura

La criticità del pensiero

Invito me stesso alla ri-lettura di un lavoro di Vito Mancuso: Il bisogno di pensare.

L’invito mi ritorna dopo una conversazione incentrata su un quesito: “in quest’epoca travagliata, con la conseguente prospettiva di inaridimento e di inevitabile spegnersi degli esseri umani, volenti o non volenti, coscienti o meno, c’è la morte del pensiero critico?”.

“Se un pensiero non è critico che cos’ è? […] non pensare significa assegnare sé stessi all’altro” scrive Anna Limpido ne La morte del pensiero critico.

(in nota: https://www.imagazine.it/notizie-trieste-gorizia-udine-friuli/11196)

Identico concetto espresso da Rosanna Filippone, mentre incita a tornare a frequentare gli abissi del senso:

“il pensiero è pensiero sennò non lo è e il pensiero critico è insito in esso quando il pensiero è pensiero tuttotondo, compiuto, indipendente, libero ... esiste se lo abbiamo concimato, coltivato, nutrito, portato a fioritura ... e non abita, non respira, non pulsa nell’altrove fatto di credo mentali, religiosi, di razza, di sangue ereditati ... un altrove di pensieri presi in prestito da una cultura di maggioranza, omologata a un’idea comoda, tanto da non provocare scossoni di gruppo: conforme, conformato, predefinito…”

“Ho bisogno di pensare” scrive Vito Mancuso, nel libro che torno alla lettura.

Scrive “bisogno”, non “necessità” del pensare, pur essendo sinonimi, e li distingue: “[…] intendendo la necessità come un’urgenza che nasce da fuori, da una realtà esterna al soggetto e che gli si impone, e che per questo è fredda, severa, meccanica; e intendendo il bisogno come un’urgenza che nasce da dentro e che lo rende strettamente imparentato con il desiderio, e che per questo è caldo, ardente, potenzialmente creativo [...] il bisogno è più vicino al sogno e alla sua capacità di generare utopia”.

Tavolozza descrittiva, come di colori.

E il potere evocativo delle parole attrae alla mente concetti come amore e desiderio, che Vito Mancuso pur tratta, sempre distinguendone e contrapponendone le caratteristiche.

Sull’amore dice: “In chi ama, il baricentro è necessariamente al di fuori del proprio sé, perché è inevitabile che l’amore crei dipendenza, non c’è proprio nulla da fare: se c’è amore, c’è dipendenza; e se non c’è dipendenza, non c’è amore. […] sto parlando dell'amore! Non dell'affetto, non dell'empatia, non dell’amicizia, non della compassione, non della solidarietà, non della tenerezza, non di qualunque altra declinazione della benevolenza; no, sto parlando dell'amore, di quel sentimento totale che afferra tutta la nostra personalità, la dimensione razionale e ancor più quella irrazionale, e che è ardore, entusiasmo, gelosia, pazzia, riso, poesia. Se è meno, l’amore non è; e chi ama lo sa”.

Ma può esistere una perfetta padronanza di sé in questa dipendenza totale? Ci interroga Vito Mancuso.

Le spiritualità, le filosofie e le religioni mettono in guardia i loro seguaci dalle passioni, soprattutto dalla passione amorosa.

 

In questa prospettiva Vito Mancuso analizza l'etimologia del verbo desiderare, segnalando che i linguisti la spiegano come “cessare di contemplare le stelle”: [...] (la radice è il sostantivo latino sidus, sideris, “stella”) […] si desidera perché ci si è distaccati dal ritmo cosmico, mentre bisogna compiere il movimento opposto e dal de-siderare passare al con-siderare, etimologicamente spiegato come osservare le stelle”.

 

Vito Mancuso - da filo-sofo (amante di Sophia) - si sofferma ad analizzare l'etimologia di molte parole, e le abbina: pensiero, bisogno, amore, desiderio; e interroga: per essere felici il desiderio va coltivato o va annullato?”

 

Ed io mi domando: se il pensiero diventa parola, diventa pure azione?

Quanti di noi, pur irrequieti nel bar della propria mente, si attivano a denunciare la disumanizzazione che pare irreversibilmente in atto?

Scrive Rosanna Filippone: “[...] i tempi attuali, e tutti i tempi, spingono a dover adottare una certa critica della società, della politica, della finanza quando questi si trasformano in abuso di potere, di controllo, quando la propaganda si fa dura fino ad arrivare alla censura del bene, del giusto. Laddove nasce un pensiero di prevaricazione, nasce contrapposto un pensiero di critica, il pensiero di potere sollecita la nascita del suo opposto”.

 

Nel bisogno di pensare, il porsi delle domande quindi, il non essere sempre d’accordo.

È questo che genera pensiero critico?

L’interrogarsi in sé è pensiero critico, l’ascoltarsi e l’ascoltare, l’accogliersi e l’accogliere per dissipare nel dialogo i conflitti; seppure le domande, senza pensiero critico che ascolta davvero, possono essere percepite fuorvianti.

Infatti Vito Mancuso scrive che: Gesù fu un grande suscitatore del desiderio, il Budda, di contro, fu un grande estirpatore del desiderio”, e incita a: “chiedersi in chi ci si riconosce di più, se in Gesù detto il Cristo o in Siddharta detto il Budda. ... non tanto per dichiararsi cristiani o buddhisti, perché l'obiettivo della vita spirituale non è certo riducibile all'appartenenza istituzionale, quanto piuttosto per comprendere la natura della propria vita interiore, in particolare la posizione del proprio punto di appoggio o sostegno vitale: se cioè si tende verso qualcosa di esterno a sé e quindi tale da dover alimentare sempre il desiderio, oppure se si tende verso qualcosa di interno a sé e quindi tale da poter giungere a spegnere il desiderio”.

Pone molte domande Vito Mancuso e, a leggere il libro, con il bisogno e il desiderio di pensare che suscita, ci si mette in dialogo con lui, che comunque attenziona anche sul desiderio opposto.

Ma non c'è solo il bisogno di pensare, scrive Mancuso “c’è anche, non meno reale, il bisogno di non pensare. [...] sgombrare la mente, fermarla, metterla a tacere […] desiderio di ritrovarsi leggeri, sereni, spensierati”.

 

Tuttavia segnala: “il desiderio di spensieratezza che a volte proviamo rimanda al fatto che il pensiero che pervade e invade la mente può non di rado essere fonte di inquietudine, persino di malattia. Può essere tossico, generare veleni, fino a rendere un veleno lo stesso pensare”.

 

E continua: “Sono almeno quattro le forme principali di pensiero avvelenato:

il pensiero-rumore, il pensiero-predatore, il pensiero-ideologia, il pensiero-intrattenimento.”

 

Val la pena andare a leggere le sue argomentazioni, ed ecco quindi rinnovato l’invito.

Ma che ne è del mio pensare se mi sento in disaccordo con la formulazione di domande che io percepisco fuorvianti, come quelle sul Budda e Gesù?

Ci si sente più vicini a chi intende coltivare il desiderio, come Gesù, o a chi intende annullarlo, come il Buddha?

Ma è così? È corretta l’analisi che ci propone?

Daisaku Ikeda scrive, in Si tu poti schimba lumea (“Anche tu puoi cambiare il mondo”):

“È vitale che ognuno di noi si ponga alcune domande importanti […]. Ritengo che il “dialogo interiore” sia della massima importanza. Questo perché le persone che sono consapevoli di essere turbate dai pregiudizi possono dialogare con persone di altre culture più facilmente di quelle che sono convinte di non essere prevenute.

Quando smettiamo di guardarci, quando smettiamo di farci domande, diventiamo dogmatici e convinti che solo noi abbiamo ragione. Il nostro discorso diventa unilaterale: non possiamo ascoltare gli altri e il vero dialogo diventa impossibile”.

Nuovamente mi interrogo: se il pensiero diventa parola, diventa pure azione? Come contrastare la disumanizzazione ora in atto?

Ecco che mi piace ricordare Marco Guzzi, impegnato, con il suo gruppo, a perseguire il cammino della Carta della Nuova Umanità:

“la rivoluzione culturale, che vogliamo alimentare, si giocherà proprio su questo piano: contrastando la disumanizzazione digitalizzante, che vuole ridurre TUTTA l’esperienza umana al piano disincarnato, e in definitiva ben controllabile del Web”.

Diamo vita al pensiero critico quindi, per alimentare una rivoluzione spirituale che impedisca, con l'appiattimento culturale, di assegnare le nostre vite ad altri.

Quindi, se il pensiero critico frutta rivoluzione, o evoluzione spirituale - nella contrapposizione tra Gesù come animatore del desiderio, oppure Siddharta come estirpatore del desiderio - come mi posiziono?

Scelgo, per riflettere, due dei personaggi amati da Vito Mancuso e citati nel suo libro.

Carlo Maria Martini:

“Mi angustiano le persone che non pensano, che sono in balia degli eventi. Vorrei individui pensanti. Questo è importante. Solo allora si porrà la questione se siano credenti o non credenti”.

Norberto Bobbio:

“La differenza rilevante non passa tra credenti e non credenti, ma tra pensanti o non pensanti”.

Così, ora, in questo mio lavoro di raccolta di parole già dette da altri, mi piace concludere, dalla metafora del pensiero che diventa azione, citando ancora una volta Marco Guzzi:

“Questi tempi nefasti di peste, guerra e carestia ci ricordano che le parole sono come vele: se impari a incanalare l’energia del vento, ti trasporteranno verso lidi migliori”.

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