Psiche e Corpo

Psiche e Corpo

Pace: un processo di innovazione creativa

Pace: miraggio o reale possibilità

 

Ogni grande movimento di trasformazione inizia sempre dall’interno.

La nuova umanità è un progetto politico e interiore.

Lanza del Vasto, maestro della nonviolenza e della spiritualità italiana del ‘900, dice che, prima di mettere la pace nel mondo, bisogna metterla a casa nostra. E non c’è pace a casa nostra se non c’è nel nostro cuore.

Per lui pace, nonviolenza e libertà erano tre concetti che non si potevano disgiungere e la giustizia era nonviolenza e libertà, quando l’azione veniva dal di dentro, fioriva dall’interno, era ispirazione, parto, atto creativo, che superava e travolgeva il suo stesso creatore. E il suo ordine rifletteva un ordine interiore.

Il teologo Horing, commentando Lanza del Vasto, afferma e che non si può metter ordine nella propria casa ritirandosi dalle responsabilità sociali perché, essendo noi entità relazionali, non esiste la nostra casa staccata dal mondo. Mostra, in modo evidente, che non è possibile mettere separazioni tra il dentro e il fuori e, ricalcando Lanza del Vasto, ammonisce che si può fare una rivoluzione solo con il cuore pacificato.

Ma come raggiungere una condizione di pace dentro di noi, se proprio lì, molto spesso si gioca un conflitto tra parti tra loro inconciliabili?

L’integrazione tra le parti, qualora riesca, richiede un duro lavoro e una grande fatica. Essa passa dal riconoscimento delle istanze di ognuna e dalla ricerca di soluzioni che ne soddisfino, almeno in parte, i bisogni. Le parti in conflitto possono essere più di due ed è importante riconoscerle e non trascurarne nessuna. Occorre avere la disponibilità a mettersi in gioco, decidere di ascoltare ed entrare in dialogo anche con le incoerenze e, piuttosto che eliminarle, guardarle con simpatia. Aiutare le parti in conflitto ad evolvere e apprendere da esso, in quanto dove c’è conflitto, se non ci si chiude o difende, c’è possibilità di cambiamento, di crescita e di sviluppo.

Nella relazione con parti dissonanti dentro di noi la tendenza invece è quella di scegliere, soffocare qualcosa, smettere di nutrirla. Ma non sempre si deve scegliere, eliminare qualcosa, si può piuttosto differire il soddisfacimento dell’esigenza di una parte, si può alternare, contaminare, integrare.

La costruzione della nostra identità difficilmente avviene in modo lineare, in modo piano e graduale, per accrescimento continuo, come magari sarebbe desiderabile, ma spesso a salti, attraverso conflitti interni.

A volta noi stessi facciamo fatica a riconoscerci, a rintracciare un senso nella nostra esperienza e per poterlo fare abbiamo bisogno di integrare i livelli del sé, armonizzare le parti che lo compongono. Ciò richiede un gioco continuo di ristrutturazione e di riequilibrio, in quanto il sé non è una realtà data una volta per tutte, tant’è che se proviamo a definirla qualcosa sfugge sempre.

La definizione permette di valorizzare il momento presente, di dare risalto e riconoscere chi siamo in un dato momento e la direzione che stiamo dando alla nostra vita, contemporaneamente l’attenzione a non cristallizzarla dà spazio al cambiamento e schiude nuove possibilità ed aperture. Ed è solo attraverso il lavoro di integrazione, che ognuno di noi potrà sperimentare un modo diverso di relazionarsi a se stesso e agli altri e di porsi nella realtà.

In un’epoca caratterizzata dalla complessità e dalla polivalenza della realtà, come quella attuale, è molto difficile orientarsi utilizzando il pensiero verticale o naturale, che procede in maniera lineare e consecutiva, classificando le informazioni secondo precisi cliché, basati sul pensiero logico, che determinano automatismi di giudizio, dai quali è difficile liberarsi.

Ci viene in aiuto il pensiero laterale, che fa riferimento a un modo di risolvere i problemi, elaborare progetti, o mettere in atto comportamenti, considerando ed esplorando ipotesi che possono non sembrare giuste di primo acchito. Il pensiero laterale, in tutte le forme in cui si può esplicare, serve a scorgere e apprezzare tutti i segnali di discontinuità, novità, rottura rispetto al canone, esaminandoli con interesse, anziché con diffidenza e pregiudizio, con cui viene spesso accolto ogni sintomo di cambiamento.

I soggetti dotati di questo tipo di pensiero acquistano allora la capacità di integrazione, sintetizzando idee e opinioni contrastanti in un quadro comprensivo e coerente, senza pensare di dover necessariamente scegliere tra elementi e stimoli contraddittori, ma piuttosto cercare di conciliare, rendere praticabili contraddizioni e ambivalenze.

Se volessimo provare a definire la personalità dei  costruttori di pace forse diremmo che sono individui che non temono di sbagliare e che di conseguenza commettono errori. Proprio per questo il loro impegno non viene sempre riconosciuto. Eppure sono proprio questi uomini che trasformano il mondo e che, dopo innumerevoli sbagli, riescono a raggiungere un traguardo, che porterà un enorme beneficio alla comunità.

Uomini che non attendono lo svolgimento degli eventi per decidere l’atteggiamento da assumere. Le loro decisioni si formano e si trasformano man mano che agiscono, pur sapendo che un simile comportamento può risultare rischioso. Sono persone che sperimentano, che cadono e si feriscono. Non propugnano una verità, criticando chi non la pensa come loro, preferiscono avere dubbi, piuttosto che certezze. Non devono dimostrarsi invulnerabili: sanno che le persone possono migliorare soltanto quando osservano e considerano il comportamento degli altri non per giudicarli, bensì per ammirarne la dedizione e il coraggio. Appaiono flessibili e sanno cogliere i segnali lungo il cammino. Non esitano a cambiare percorso, nel momento in cui si trovano di fronte un’ardua asperità o quando intravedono una via migliore.

Essi incarnano la qualità dell’acqua, che aggira le rocce, si adatta al corso dei fiumi, talvolta si trasforma in lago, colma ogni depressione, per proseguire nel cammino, giacché non dimentica mai che la sua meta è il mare (la pace) e nel loro intimo sanno che prima o poi la raggiungeranno.

Per continuare a muoversi nella direzione della pace, quando intorno a loro infuria la guerra, la loro intenzione deve essere ferma, diretta, aguzza, affilata, precisa, limpida, cristallina, sincera, perfettamente equilibrata, in modo che niente possa fermarla, mentre solca lo spazio che la separa dalla meta.
Il cammino della pace è un cammino che s’impara passo dopo passo.

La costruzione della pace, che implica anche sempre la costruzione di una nuova umanità, a partire dalla nostra, comporta un lavoro di apprendimento anche caotico, richiede coraggio, impegno, determinazione, fede, fatica.

Edgard Morin, famoso filosofo della complessità, afferma che nelle società normalizzate, stabilizzate, irrigidite, bloccate nel profondo, senza creatività, come la nostra, le forze generatrici creative si manifestano nei devianti (artisti musicisti, poeti, scrittori, filosofi, appassionati di fai da te, inventori) rispetto alla via maestra, che ci vorrebbe obbedienti, funzionali, per niente inventivi e creativi, rotelline di un meccanismo già definito.

La coscienza che ogni grande movimento di trasformazione comincia sempre, anche nelle società sclerotizzate, in maniera marginale, deviante, modesta ci indica che le innovazioni creative sono sempre ovunque possibili. Infatti piccoli gruppi marginali sono sempre stati la novità nella storia.

Non ci dobbiamo porre il problema di quanti siamo, piuttosto ci dobbiamo interrogare seriamente e continuamente su questo:

ciò che pensiamo è giusto? Cioè: l’orientamento che stiamo dando alla nostra vita costruisce la mia pace e la pace intorno a me? Il mio modo di fare quello che faccio nella mia vita quotidiana ha quest’orientamento, passo, passo, tra mille cadute? Oppure sto costruendo sulla sabbia, inseguendo illusioni fallaci?

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