Arti & Culture

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Lavoro e arte. La linea sottile

La recente pandemia, non ancora del tutto risolta, ha condizionato pesantemente tutto il mercato del lavoro, ma nel settore delle arti della scena si è creata una frattura ancora più grande e sconosciuta ai più, che ha dato vita a movimenti di protesta con istanze di ristrutturazione delle norme del settore.

La chiusura dei teatri e dei cinema per oltre un anno, la successiva riapertura, ma con la diminuzione dei posti in sala, le difficoltà di allestimento in sicurezza,  hanno messo in ginocchio un settore, che già prima della pandemia agonizzava nell’assenza di tutele e regolamentazione.

Infatti possiamo chiederci: come vive e ha vissuto fino ad oggi una persona di spettacolo?  E non parliamo solo di attori di prosa o cinema, ma di tutte quelle figure artistiche, tecniche, organizzative che lo abitano: attori, danzatori, performers, musicisti, cantanti, doppiatori, formatori teatrali, registi, drammaturghi tecnici audio e luci, organizzatori, addetti stampa, costumisti, truccatori, addetti alla produzione, edizione e chi più ne ha più ne metta.

Sono donne e uomini che decidono nella propria vita di fare dell’arte della scena la propria professione a tempo pieno, a costo di vivere perennemente sull’orlo di un baratro, persone animate da una grande passione, ma anche dotate di grandi competenze e creatività, spesso trasversali, a fronte di guadagni spesso non commisurati all’impegno e allo sforzo.

La prima caratteristica di queste professionalità è l’intermittenza, che in poche parole si può tradurre in: “oggi lavori, domani forse”. E, tra un ingaggio e l’altro, il vuoto. I più fortunati hanno molti ingaggi, a volte troppi impegni, che si sovrappongono, costringendo il teatrante a districarsi in attività funamboliche e faticose da gestire, magari anche distanti tra loro in termini chilometrici.

Altri, pochi eletti, hanno il privilegio di lavorare a tempo indeterminato in un grande ente pubblico, come gli orchestrali, i coristi e i danzatori dei grandi teatri lirici nazionali, ma non superano complessivamente le 500 unità, in Italia.

Per gli attori di prosa, per esempio, in Italia non è previsto il tempo indeterminato in nessun luogo, perciò la stragrande maggioranza di essi vive una vita che si declina attraverso impegni diversi: al mattino un turno di doppiaggio, al pomeriggio prove, la sera spettacolo o insegnamento in corsi vari, sempre presenti e mai ammalati, poiché per loro la cosiddetta mutua non è prevista.

Esisterebbe forse a fronte di alcuni requisiti contributivi, che molti però non riescono a raggiungere, ma che comunque non sarebbe mai utilizzata. I teatranti quando il lavoro c’è, se malati, si imbottiscono di farmaci e vanno in scena, perché: “The show must go on”, frase tristemente reale.

Spesso i lavoratori dello spettacolo si sentono dire: “Beato te, che ti diverti!” o peggio ancora: “Ah bello fare spettacolo, ma di lavoro cosa fai?”, frase davvero infelice, detta da persone che proprio non comprendono come si svolge questo mestiere: quando si lavora niente mutua, niente ferie, niente sabati o domeniche libere; quando non si lavora depressione e paura di non lavorare più.

Il governo italiano, nell’ultimo periodo ha provveduto fortunatamente ad erogare sostegni d’emergenza, anche in risposta alle istante di numerosi comitati di protesta, che hanno, sin dagli inizi del lockdown, sollecitato, anche attraverso i sindacati dei lavoratori della comunicazione, una completa ristrutturazione dei contratti, ipotizzando anche un reddito di intermittenza per tutte quelle figure professionali, variegate e trasversali, che animano il settore, alcune di queste anche nuove, sorte nell’ultimo decennio, accanto alle nuove tecnologie. I comitati (Facciamolaconta, Unita, Attori Attrici Uniti, Professionisti dello Spettacolo, Emergenza Continua, solo per citarne alcuni) hanno chiesto a gran voce, nelle manifestazioni in piazza a livello nazionale e locale, o attraverso i social network, il riconoscimento delle professionalità dello spettacolo e l’attivazione delle stesse tutele di cui godono tutte le altre categorie di lavoratori.

Si può affermare che, volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, la pandemia in questo settore abbia aperto il vaso di Pandora e fatto emergere tutte le criticità che non erano mai state affrontate, piuttosto sopportate e subite per decenni.  
Si auspica quindi che questa sciagura possa diventare un trampolino di lancio per una vera riforma del settore e la crisi epidemica possa volgersi in una straordinaria opportunità per operare una vera rivoluzione del settore artistico, creando nel Bel Paese, culla dell’arte e della cultura, un vero mercato regolamentato del lavoro artistico, che possa portare alla valorizzazione e alla tutela dei talenti, nella speranza che i sostegni erogati non siano solo un cerotto momentaneo per arginare la crisi.   

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